lunedì 12 novembre 2007

MISTERO SVELATO: I RAGGI COSMICI PROVENGONO DAI BUCHI NERI

I raggi cosmici ad altissima energia – pari a quella di una palla da tennis battuta da un campione ma concentrata in una particella subatomica un milione di miliardi di volte più piccola – arrivano probabilmente da galassie che nascondono nel loro nucleo giganteschi buchi neri. La scoperta è annunciata dalla rivista “Science” in edicola negli Stati Uniti il 9 novembre. L’ha compiuta un gruppo di 370 fisici e astrofisici di 17 paesi con il Progetto Auger: 1600 rivelatori sparsi su tremila chilometri quadrati nella pampa Argentina in mezzo a mandrie di bovini (foto). L’Italia partecipa con una sessantina di ricercatori distribuiti tra una decina di istituti dell’Università e dell’Infn.E’ una di quelle notizie che lasciano il segno nella storia della scienza. Un mistero lungo un secolo incomincia a diradarsi. E’ dal 1912, quando Victor Hess con una ascensione in pallone osservò per la prima volta i raggi cosmici, che gli scienziati si interrogano sulla loro provenienza. Per quelli a energia più bassa la risposta è inaccessibile perché i campi magnetici galattici e intergalattici deviano le particelle cariche: non sapremo mai quali percorsi curvilinei hanno seguito per giungere a noi. Ma i raggi cosmici ad energia altissima, individuati da Pierre Auger nel 1938 (di qui il nome del Progetto) sentono poco o non sentono per niente i campi magnetici, e quindi conoscendo la direzione da cui arrivano diventa possibile verificare se lì ci sia un oggetto celeste che funziona da sorgente. Mai dal 1938 ad oggi si era però riusciti a compiere questa osservazione perché i raggi cosmici di altissima energia sono rarissimi: possiamo aspettarcene uno per chilometro quadrato per secolo, occorre quindi un sistema di rilevazione grande come una provincia per osservare un numero di particelle tale da poterne ricavare una statistica significativa. Questo è il grande risultato ottenuto dai ricercatori del Progetto Auger: su 27 particelle di altissima energia osservate nell’arco di un anno, 20 appaiono strettamente collegabili a galassie con nuclei attivi, mentre la casualità potrebbe spiegare soltanto 5 correlazioni. Rosanna Cester, Gianni Navarra, Ezio Menichetti e Roberto Musa, fisici e astrofisici del gruppo torinese impegnato nel Progetto Auger, non nascondono la loro soddisfazione, pur mantenendo la massima cautela: “Ci vorrà almeno ancora un anno di osservazioni per parlare con qualche certezza. In ogni caso il Progetto Auger andrà avanti per dieci anni, e poi speriamo si possa fare un osservatorio simile nell’emisfero Nord, nel deserto del Colorado” .Due parole sull’energia di queste particelle, che sono in prevalenza protoni e nuclei di elio (almeno, questa è l’idea prevalente). Le 27 particelle finora osservate con il Progetto Auger hanno energie comprese tra 10 alla 19, 5 e 10 alla 20,4 elettronvolt. Siamo a livelli un miliardo di volte più elevati di quelli che saranno raggiungibili a partire dal 2008 al CERN di Ginevra con il nuovo acceleratore LHC che sta per entrare in funzione, il più grande del mondo.Particelle con energia così grande interagiscono con i fotoni della radiazione fossile a 2,7 Kelvin che costituisce il calore residuo del Big Bang. Per i fisici è facile calcolare che particelle con energia dell’ordine di 10 alla ventesima elettronvolt non riescono a farsi strada nella zuppa di fotoni della radiazione fossile perché interagendo con essi generano nuove particelle. In sostanza, la radiazione fossile è opaca per i raggi cosmici ad altissima energia su distanze superiori a 200 milioni di anni luce.La conclusione evidente è che queste particelle devono essere generate a meno di 200 milioni di anni luce da noi.I ricercatori del Progetto Auger hanno quindi tracciato una mappa delle galassie comprese entro questa distanza. Tra queste ce ne sono alcune che contengono nuclei attivi: e in venti casi si è visto che le particelle super-energetiche provengono, con l’approssimazione di 3 gradi (sei volte il diametro apparente della Luna) dalla direzione in cui si trovano queste galassie (una è Omega Centauri).Le particelle vengono segnalate ininterrottamente giorno e notte dai 1600 rivelatori, posti a una distanza di 1,5 chilometri l’uno dall’altro: ovviamente non “vedono” la particella originaria ma lo sciame di particelle secondarie che essa produce penetrando nell’atmosfera. Se un rivelatore capta lo sciame, confronta automaticamente l’osservazione con i rivelatori vicini per accertare che non sia un falso allarme, e in caso positivo tramite una rete telefonica Gsm i dati vengono subito trasmessi ai ricercatori “di guardia”. Di notte 4 sistemi di 24 grandi specchi posti ai margini della regione di 3000 km quadrati dove sono sparsi i rivelatori osservano la fluorescenza generata dagli sciami, e ciò permette di misurare l’energia della particella primaria.“Con questa scoperta – dicono Cester, Navarra, Menichetti e Musa – nasce una nuova astronomia perché finalmente possiamo mettere in rapporto i raggi cosmici di grande energia con le loro probabili sorgenti: si apre quindi la possibilità di studiare in modo più diretto i buchi neri supermassicci delle galassie attive, e in particolare i violentissimi fenomeni di accelerazione che avvengono sull’orlo del buco nero, dove vortica la materia caldissima che sta per essere inghiottita.”

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