venerdì 6 luglio 2007

L'ALBA DELL'UOMO

La scienza antropologica non è riuscita ancora a datare con un buon margine di approssimazione il periodo della comparsa dell’uomo sulla Terra. Lo sviluppo evolutivo, in base ai ritrovamenti dei fossili, sembra indicare al momento unicamente le zone dell’Africa sud-orientale e centro-orientale, esattamente entro i confini del Kenya, dell’Etiopia e della Tanzania. I luoghi dell’Ominazione ossia dello sviluppo evolutivo della specie umana indicano nel merito: la Gola di Olduvai nella già citata Tanzania, le Sponde del Lago Turkana in Kenya e la Rift Valley in Etiopia. In un periodo compreso tra i 3 e i 2 milioni di anni fa, nell’Africa orientale vissero, seconto il paleontologo R. Leakey tre diversi tipi di ominidi: l’Australopithecus Africanus, l’Australopithecus Boisei e l’Homo Abilis. Quest’ultimo aveva una posizione eretta ed un’altezza variante tra i centoventi e i centocinquanta centimetri, con il cranio di una certa dimensione. L’Australopithecus Boisei aveva un’altezza simile a quella dell’Homo Abilis ma fisicamente era più tozzo, con potenti mascelle ed un cranio più piccolo proprio per il grande sviluppo del muscoli masticatori. L’Austalopithecus Africanus invece risultava più piccolo di statura, intorno ai centoventi centimetri. Ad un certo punto accadde qualcosa che la scienza antropologica non riesce a spiegare: circa un milione di anni fa, gli Australopitheci si estinsero, mentre continuò l’evoluzione dell’Homo Abilis da cui doveva scaturire l’Homo Erectus nostro diretto progenitore. Le più recenti scoperte antropologiche, hanno condotto alcuni studiosi, (dico alcuni poiché le contestazioni al riguardo sono moltissime) ad ipotizzare che tra i diversi tipi di ominidi, apparsi sulla Terra, non esiste un rapporto di discendenza diretta. Sono esistite probabilmente linee evolutive parallele con caratteristiche umane molto differenti tra loro. Chiariti questi concetti, cerchiamo di fare il punto della situazione sui diversi ritrovamenti di fossili relativi alle più antiche tracce dell’ominazione. Purtroppo ad agitare ancor più l’atmosfera incadescente che domina il mondo scientifico, sul concetto dell’evoluzione umana, intervengono duri scontri senza esclusione di colpi (anche giudiziari) tra due contrapposti schieramenti: i “conservatori” di quella teoria evolutiva che ci vede discendenti da un unico antenato e i cosiddetti “rivoluzionari” che da alcuni anni propugnano un’evoluzione divisa in vari rami. Nel corso dell’anno 2000, quasi come un addio al secondo millennio che andava spegnendosi, intervennero diversi ritrovamenti di fossili ad opera di alcuni Team di paleontologi.Il primo, in ordine di arrivo, fu il ritrovamento a diversi chilometri da Addis Abeba di alcune ossa di ominide, risalenti a poco più di cinque milioni di anni fa, battezzato dagli esperti: “Ardipithecus Kadabba”. Secondo lo scopritore, il Dr. Johannes Selassiè, queste ossa costituirebbero la prova del famoso anello mancante tra il Primate (l’antenato comune a tutti, scimmie e uomini) e l’Homo Abilis. Il ritrovamento fu ritenuto talmente importante da occupare ufficialmente alcune pagine della prestigiosa rivista scientifica “Nature”. Come se non bastasse, verso la fine dell’Ottobre 2000, quasi a voler contraddire la scoperta precedente, nel Kenya, esattamente nella zona di Baringo, furono riportate alla luce diversi frammenti asteologici pertinenti ad una creatura vissuta circa sei milioni di anni fa. Il gruppo scientifico, guidato dall’antropologa francese Brigitte Senut e dal Prof. Pickford, battezzò questo ominide con il termine scientifico di Orrorin Tugenensis” (poiché scoperto sulle colline di Tugen), o con l’appellativo di uomo dagli “zigomi larghi”. I due scopritori, nonostante la furiosa polemica scientifica con il paleontologo R. Leakey, detengono un rilevante entusiasmo, poiché sono entrambi convinti che i fossili non solo sono importantissimi ma stravolgerebbero tutte quelle teorie tradizionali sull’evoluzione umana detenute dai paleontologi come i Leakey. Infatti i “contestatori” come Pickford e Senut, rivoluzionerebbero con le loro ipotesi il monopolio detenuto da “Lucy”, l’Australopithecus di sesso femminile (vecchio di 3 milionidi anni), visto sino a pochissimo tempo fa come l’autentica unica progenitrice di tutti noi. Cosa dire poi dei ritrovamenti di Drimalen nel Sudafrica? Questo sito paleoantropologico, scoperto nel 1992 dal Prof. Andrè Keyser, pone addirittura altri interrogativi che in qualche modo supportano le teorie di Pickford ossia: linee evolutive parallele ma con caratteristiche umane completamente differenti tra loro.Vediamo di cosa si tratta. A Drimalen, curiosando tra i rialzi erbosi a nord-ovest di Johannesburg, il geologo Keyser reperì alcuni fossili pertinenti a due ominidi completamente diversi tra loro: il primo appartenente all’Australopithecus Robustus (cioè vicino all’uomo e di forte costituzione, anche se di dimensione più simili a quelle di uno scimpanzè); il secondo appartenente ad una specie ominide imprecisata i cui resti per il momento sono esigui e a cui è stato dato il nome generico di “Homo”. Poiché le ossa delle due differenti creature sono state ritrovate insieme è logico supporre che“Homo” fu contemporaneo all’”Australopithecus Robustus”. Chiediamo a questo punto un chiarimento su un qualcosa che nemmeno la scienza in questo momento è in grado di spiegare. Ad ingarbugliare ancor più questo rebus scientifico intervengono molti paleoantropologi di fama internazionale che con i loro saggi e le mutevoli teorie sull’Evoluzione, non solo non riescono decisamente a mettersi d’accordo nel definire un inizio di Ominazione nella sistematica sequenza di ritrovamenti ottenuti, quanto non riescono nemmeno a coordinare i loro ritrovamenti; il che dimostra che questi fenomeni di transizione da una specie all’altra non sono per nulla definiti. Il ritrovamento dei fossili è auspicabile che continui in futuro, per comprendere ove possibile chi eravamo e dove andiamo. Certo, siamo ben lungi dall’aver reperito un’esaustiva spiegazione ai vari misteri, dato che ogni fossile portato alla luce può confutare o rimettere in discussione le varie congetture. Nella complicata matassa delle “origini”, volendo trovare una noticina di buonumore possiamo dire che la lotta degli antropologi continua fino all’ultimo osso.

Domenico Arco
Collaboratore Esterno CUT
Coordinatore Settore "Conservazione e Restauro"
Soprintendenza Archeologica della Puglia

Nessun commento: